LA TERRA COME… UNO SPARTITO MUSICALE

ℝ𝕠𝕥𝕥𝕖 𝕔𝕠𝕞𝕞𝕖𝕣𝕔𝕚𝕒𝕝𝕚 𝕒𝕓𝕠𝕣𝕚𝕘𝕖𝕟𝕖

La totalità dell’Australia potrebbe essere letta come un immenso spartito musicale, perché su di essa le popolazioni aborigene hanno trasmesso le storie del tempo del sogno, quando gli esseri mitologici delle origini danzavano sul mondo creando le sue geografie e i suoi spazi.
Gli antenati avevano attraversato il continente inoltrandosi lungo gli estuari costieri, attraverso sistemi fluviali e bacini idrografici, tracciando nel deserto piste che permettevano ai viaggiatori aborigeni di spostarsi attraverso l’enorme cuore desertico dell’Australia.

Già nel 1939, gli archeologi potevano dimostrare che l’Australia era attraversata da rotte commerciali aborigene ed è questa l’origine della vie dei canti.

𝕍𝕚𝕖 𝕕𝕖𝕚 𝕔𝕒𝕟𝕥𝕚 𝕟𝕖𝕝 𝕥𝕖𝕣𝕣𝕚𝕥𝕠𝕣𝕚𝕠 𝕕𝕚 𝕋𝕛𝕦𝕟𝕥𝕛𝕦𝕟𝕥𝕛𝕒𝕣𝕒

Conchiglie, perle, colori (soprattutto l’ocra rossa) potevano viaggiare per oltre 800km. Il viaggio era la sorgente delle storie e delle leggende, di una sapienze da trasmettere nei secoli. Così, in una società non scritta, queste conoscenze venivano trasmesse attraverso un sistema di danze alle generazioni.
Il primo colono dell’Australia occidentale, George Moore, osservò che “i nativi sono tutti consapevoli che l’Australia è un’isola”. Nel 1840, gli uomini vicino a Fowler’s Bay, nell’Australia meridionale, assicurarono Edward John Eyre che nella loro terra non c’era alcun mare interno; mentre Sturt riporta che Toonda, la sua guida nel 1844, fu in grado di disegnare con precisione un piano del sistema fluviale Murray-Darling.

𝕍𝕚𝕖 𝕕𝕖𝕚 𝕔𝕒𝕟𝕥𝕚 𝕣𝕒𝕘𝕘𝕣𝕦𝕡𝕡𝕒𝕥𝕖 𝕡𝕖𝕣 𝕝𝕖𝕘𝕘𝕖𝕟𝕕𝕖

Canti e cerimonie viaggiavano con le merci e con esse viaggiavano le storie della formica da miele, del serpente arcobaleno o dell’antenato filiforme che usciva di notte solo quando il vento si era calmato per non spezzarsi con la brezza.

𝕄𝕒𝕡𝕡𝕖 𝕤𝕦𝕝 𝕔𝕠𝕣𝕡𝕠 𝕖 𝕒𝕟𝕚𝕞𝕒𝕝𝕚 𝕥𝕠𝕥𝕖𝕞𝕚𝕔𝕚

Alcuni uomini scelti erano mandati in una tribù lontana solo per imparare una danza o un canto. Le tribù possiedono talvolta canti in lingue assolutamente lontane dalla propria, anche se è soprattutto attraverso i continuum dialettali, che possono estendersi in Australia anche per 3000 km, che le conoscenze si trasmettevano più facilmente.
Ecco, mi pare questo il segreto delle vie dei canti.

Pubblicità

UNA SCUOLA… UN ORTO… UN TERRITORIO – 1° parte

Maestra Giusi racconta

“Dentro un seme un tesoro” è il percorso che ha attivato l’allestimento di un orto nella nostra scuola, e si colloca all’interno del progetto d’Istituto “L’isola di Gaia”.

Orto è luogo di interazioni….

Per Mario Lodi, il maestro dell’educazione quale armonia tra arte e scienza, l’orto è un’aula didattica all’aperto,” dove bambini e bambine sperimentano i saperi in un’ottica interdisciplinare nella pregnanza affettiva delle esperienze. Mentre raccontano e riflettono sull’esperienza, discutono e si confrontano, ipotizzano e fanno predizioni… imparano facendo e si abituano a “trasferire” il sapere acquisito.          

Fin dal primo approccio si avverte che l’orto è un ecosistema che allena alla responsabilità, luogo in cui vivere relazioni di benessere con sé stessi, gli altri e l’ambiente. 

Orto è esperienza sensoriale e occasione di cura…

È lo spazio dei vissuti sensoriali, dove bimbi e bimbe possono esercitare i loro diritti naturali con tutto il corpo a contatto con la terra. Affondano le mani nel fango e nell’acqua… annusano diversità di profumi e odori… gustano cibi che sanno di cura e di stupore.     

Orto è incontro con le diversità…

Coltivare i frutti della Terra non solo li ricongiunge con il ciclo di produzione del cibo, ma ancor più li introduce nel flusso di energia di sistemi più ampi mediante l’osservazione diretta delle piante verdi e delle loro interazioni.         

Nell’orto si evidenziano le consociazioni naturali, esempio di comunità cooperativa in natura. Qui bambini/e imparano dalle piante la ricchezza della diversità, la collaborazione e la cura reciproca, si allenano alla pazienza del tempo dell’attesa.       

L’Orto è pure educazione alimentare con l’attenzione ad un consumo rispettoso della natura nella sua ciclicità. Gradualmente bambini e bambine si abituano…  a coltivare e raccogliere… a consumare quanto essa produce secondo stagione.      

Orto è scoperta di sapori…

L’Orto diventa esperienza di una comunità che educa, che incoraggia e sostiene relazioni educative fra le diverse età, e fra scuola, famiglia e territorio.

Orto è esperienza sociale

La comunità scolastica mette a disposizione saperi, tecniche agricole, e avvia alunne e alunni all’assunzione di cibo sano, genuino, rispettoso dell’ambiente mediante il Diario dell’ecomerenda…       

Orto è collaborazione…

Le famiglie si rendono partecipi anche mediante “le mamme dell’orto”, gruppo nato nell’a. sc. 21-22, che insieme ai collaboratori ATA, affiancano la scuola nei lavori di pulizia e manutenzione dell’orto… e pure nelle iniziative educative con alunni e alunne.            

Una Rete di collaborazioni sta crescendo sul territorio con “La condotta Slow Food Peloritani Tirrenici, i produttori locali a km 0, i titolari di negozi di prodotti alimentari biologici, e vari esperti dell’alimentazione.     

 L’Orto si offre alla scuola come esperienza di continuità, poiché, negli anni successivi, il focus passerà dall’orto come superamento dello spreco alimentare…. alla valorizzazione delle coltivazioni tipiche del luogo… all’orto come occasione di incontro fra popoli di tradizioni e culture alimentari diverse.    

E il cibo diventa così possibilità di arricchimento culturale e interculturale.

CAPOLAVORO DI PITTURA COLLABORATIVA

𝕐𝕒𝕣𝕣𝕜𝕒𝕝𝕡𝕒 (𝕥𝕖𝕣𝕣𝕚𝕥𝕠𝕣𝕚𝕠 𝕕𝕚 𝕔𝕒𝕔𝕔𝕚𝕒), 𝟚𝟘𝟙𝟛

Yarrkalpa, territorio di caccia, è un vero è proprio capolavoro di pittura collaborativa!

Non solo per le dimensioni davvero straordinarie ( 5 x 3 metri ), ma anche per il numero di artiste che hanno collaborato a questa realizzazione. Sono 8 le donne che hanno lavorato a quest’opera monumentale: Kumpaya Girgirba, Yikartu Bumba, Kanu Nancy Taylor, Ngamaru Bidu, Janice Yuwali Nixon, Reena Rogers, Thelma Judson e Ngalangka Nola Taylor.

Si tratta di un ritratto intimo del paese, un vera e propria enciclopedia dell’economia domestica e delle conoscenze ecologiche di ciascuna, che le artiste si sono scambiate attraverso quest’opera, rendendosi partecipi l’un l’altra di anni di impegno a servizio della loro comunità e della salvaguardia del loro territorio e della loro cultura.

𝕃𝕖 𝕒𝕣𝕥𝕚𝕤𝕥𝕖 𝕒𝕝 𝕝𝕒𝕧𝕠𝕣𝕠

Yarrkalpa, realizzato nel 2013, riproduce esattamente la topografia del paesaggio attorno a Parngurr, la comunità attorno a cui queste donne hanno lavorato, le catene rocciose, le dune, le pianure sabbiose, i ruscelli, le cavità nella roccia, i filoni di argilla e le sorgenti. Il villaggio in cui esse vivono è rappresentato dal motivo a quadretti, nella parte ovest. Due fiumi orientano la composizioni.

𝕊𝕡𝕚𝕖𝕘𝕒𝕫𝕚𝕠𝕟𝕖 𝕕𝕖𝕝𝕝𝕒 𝕞𝕒𝕡𝕡𝕒

Ciascuna delle otto artiste ha posto l’accento su quel che più le stava a cuore, ora sulle fonti di cibo, ora sugli aspetti topografici, ora sulle piante medicinali…ne emerge una cartografia intima del paese, ma soprattutto un turbinio di colori che lascia mozzafiato!

𝕃𝕖 𝕒𝕣𝕥𝕚𝕤𝕥𝕖 ℕ𝕘𝕒𝕞𝕒𝕣𝕦 𝔹𝕚𝕕𝕦, 𝕂𝕦𝕞𝕡𝕒𝕪𝕒 𝔾𝕚𝕣𝕘𝕚𝕣𝕓𝕒 𝕖 ℕ𝕘𝕒𝕝𝕒𝕟𝕘𝕜𝕒 ℕ𝕠𝕝𝕒 𝕋𝕒𝕪𝕝𝕠𝕣 𝕕𝕒𝕧𝕒𝕟𝕥𝕚 𝕒 𝕐𝕒𝕣𝕣𝕜𝕒𝕝𝕡𝕒 (𝕥𝕖𝕣𝕣𝕚𝕥𝕠𝕣𝕚𝕠 𝕕𝕚 𝕔𝕒𝕔𝕔𝕚𝕒), ℙ𝕒𝕣𝕟𝕟𝕘𝕦𝕣𝕣, 𝟚𝟘𝟙𝟛

Vai a Alberto Osenga – a Le scritture di Alberto Maria

Torna a Home

INSIEME

Al mattino lungo la passeggiata del lago Maggiore il mondo s’incontra nei giochi di Elisabetta e Platone due fratellini dell’est a cui si unisce Oliver inglese.

È un mondo che non ha bisogno di parole e non è perciò ostacolo la lingua diversa, perché in quello spazio rivivono “i tre porcellini che un lupo affamato“, la loro giovane mamma, “vorrebbe mangiare“. Le grida dei bimbi esprimono le emozioni, non l’isteria capricciosa, ma ciò che il timore esprime nella fuga!

Di chi è il divertimento? Dove finisce l’infanzia?
E l’adultità? E dove iniziano?!

Il gioco è serio da parte di tutti e di tutte, e pure il divertimento. Le grida dicono il piacere, e ciò che si avverte tra la paura e la salvezza!

Verso sera, nello spettacolo di un tramonto che affascina, incontro una delle numerose famigliole che godono della tranquillità del luogo.

“Papà, perché quel treno corre sull’acqua?!”,

quale domanda più stupita di fronte al lago che forse quel bimbo vede per la prima volta?! Una domanda aperta… che interroga, che chiede di capire il mondo e i suoi abitanti, siano essi cose o persone!

“Eh, non è un treno, è un traghetto”,

potrebbe essere la risposta più ovvia, ma che dà soluzione immediata…. e forse chiude lì!

“Non è un treno!”,

altra risposta possibile, che non offre una pista per un andare oltre!

“Che dici, andiamo più vicino e vediamo?!!”,

propone il papà, ed è l’offerta che attiva il pensiero, che aggancia vissuti e conoscenze; è porta aperta a tutto il possibile all’imprevisto, all’impensato.

L’adulto si pone sullo stesso piano di curiosità del bambino e della bambina, e per mano, vanno ad esplorare sentieri:

Che cosa troveranno non è definibile a priori, ma lo raggiungeranno insieme, e sarà bello, e sarà molto di più di quanto una risposta o una definizione avrebbe dato!

Nel giocare insieme… nel cercare insieme…  ci guadagnano entrambi.

Bambino e bambina sono Introdotti con gradualità e “secondo la loro misura” nel mondo che abita; l’adulto recupera con lo stupore della scoperta un approccio al mondo meno presuntuoso.

DA UNA CASA DI RIPOSO

𝔾𝕝𝕚 𝕦𝕝𝕥𝕚𝕞𝕚 𝕝𝕒𝕧𝕠𝕣𝕚 𝕕𝕚 𝕋𝕛𝕒𝕡𝕒𝕣𝕥𝕛𝕚 𝕂𝕒𝕟𝕪𝕥𝕛𝕦𝕣𝕚 𝔹𝕒𝕥𝕖𝕤

Osservo con attenzione gli ultimi lavori di Tjapartji Kanytjuri Bates (1933-2015), anziana custode della conoscenza.

Nella sua giovinezza Tjapartji aveva condotto una vita tradizionale nel deserto ed era giunta solo tardi alla pittura. La sua carriera artistica era stata lanciata nel 1991, quando aveva integrato la comunità di Wanarn.
Quello che però mi colpisce profondamente sono i lavori che quest’artista produsse dal momento in cui settantenne raggiunse la casa di riposo del villaggio, la Wanarn Aged Care Facility.

𝕃𝕒 𝕔𝕒𝕤𝕒 𝕕𝕚 𝕣𝕚𝕡𝕠𝕤𝕠 𝕎𝕒𝕟𝕒𝕣𝕟 𝔸𝕘𝕖𝕕 ℂ𝕒𝕣𝕖 𝔽𝕒𝕔𝕚𝕝𝕚𝕥𝕪

La senilità costrinse Tjapartji a una produzione del tutto particolare perché, afflitta da artrosi non era in grado di rappresentare i luoghi, con la “dot technique” tradizionale (stile puntinato).
La sua crescente vulnerabilità l’aveva costretta a rinunciare ai grandi formati e così la rappresentazione di Yinunmaru il luogo in cui era stata concepita, all’incrocio tra molte linee dei canti, era divenuto sempre più astratto, volatile, come si confà alla memoria di un’anziana signora.

𝕋𝕣𝕒 𝕚 𝕝𝕒𝕧𝕠𝕣𝕚 𝕒𝕝𝕔𝕦𝕟𝕖 𝕣𝕒𝕡𝕡𝕣𝕖𝕤𝕖𝕟𝕥𝕒𝕫𝕚𝕠𝕟𝕚 𝕕𝕚 𝕐𝕚𝕟𝕦𝕟𝕞𝕒𝕣𝕦 𝕝𝕦𝕠𝕘𝕠 𝕕𝕖𝕝 𝕔𝕠𝕟𝕔𝕖𝕡𝕚𝕞𝕖𝕟𝕥𝕠 𝕕𝕚 𝕋𝕛𝕒𝕡𝕒𝕣𝕥𝕛𝕚 𝕂𝕒𝕟𝕪𝕥𝕛𝕦𝕣𝕚 𝔹𝕒𝕥𝕖𝕤

C’è poi un altro aspetto che mi incuriosisce nell’esposizione dei suoi lavori ed è l’ossessione con cui ogni cosa, tele di cuscino, pezzi di cartone, tavole e anche la sua sedia a rotelle divengono Yinunmaru. Come se la difficoltà di rappresentare il luogo del concepimento venisse sormontata dal moltiplicare i luoghi della sua rappresentazione.
Rifletto cosi’ sulle storie degli anziani, sul luogo in cui anche io venni generato (ma come saperlo con certezza?), su questa casa di riposo perduta nel deserto e sulle nostre.

𝕃𝕒 𝕤𝕖𝕕𝕚𝕒 𝕒 𝕣𝕠𝕥𝕖𝕝𝕝𝕖, 𝕚𝕝 𝕔𝕦𝕤𝕔𝕚𝕟𝕠 𝕖 𝕋𝕛𝕒𝕡𝕒𝕣𝕥𝕛𝕚 𝕕𝕒 𝕘𝕚𝕠𝕧𝕒𝕟𝕖

Vai a Alberto Osenga – a Le scritture di Alberto Maria

Torna a Home

APE

Accogliamo Proteggiamo Educhiamo[1]

Arrivate con la primavera, le api continuano a “viaggiare” anche lungo la penisola.

Spesso le vediamo volteggiare di fiore in fiore sulle aiuole, sui prati. Sono le api operaie che procurano il nettare, l’alimento che mantiene in vita gli alveari e i loro piccoli! Inconsapevoli impollinatrici, mentre succhiano, trasportano sul loro manto il polline di fiore in fiore, dando inizio a nuove vite vegetali.               

Rispondendo alla proposta “Un giardino per gli Insetti impollinatori” della Savno, anche numerose scuole hanno creato nei loro giardini angoli con piante e fiori amici per accoglierle. Ed è stata la fantasia di bambini e bambine, e l’aiuto di maestre/i, nonni e genitori, a realizzarli. Un’occasione di esplorazione per la conoscenza e la relazione in una dimensione ludica.   

Nonno mi aiuti a fare un giardino per le api?” … e pronti i nonni hanno creato due grandi aiuole di circa 10 mq: tolto le erbacce, zappato e arato il terreno per renderlo ospitale ai semi che nipotini e nipotine hanno seminato. Ora è tutto uno sbocciare armonioso di colori.        

È un girotondo di fiori…  il nostro giardino. Ci sono tanti fiori spontanei, tarassaco, margherite… anche lombrichi, chiocciole, formiche, coccinelle, mosche, farfalle e api. Ogni giorno osserviamo, raccogliamo, giochiamo, impariamo a distinguere la loro funzione…            

Già da due anni abbiamo a cuore le api, per loro abbiamo preparato e lanciato “le bombe di semi” di fiori per avvicinarle al nostro giardino.  

Ora abbiamo costruito un’aiuola su un prato di margherite… seminato, e interrato piante prese dal nostro orto e i fiori regalo di genitori e nonni.           

Nei cestini delle nostre biciclette e tricicli abbiamo depositato altri fiori, così, pedalando, attiriamo gli insetti al nostro giardino.                

Un giardino verticale.. è un giardino alternativo!

Insieme, bambini e bambine, dai 3 ai 5 anni, hanno rallegrato con disegni personali dei vasi ricavati da bottiglie di plastica.

Riempiti di terra, sono diventati dimora di semi di fiori e piante che attirano gli insetti impollinatori.     

Sono ora appesi sulla recinzione lungo il vialetto interno della scuola, dove bambini e bambine possono non solo guardare come crescono le piantine e averne cura, ma anche osservare come interagiscono gli insetti. 

Spazio di meraviglia …  è “Il giardino segreto degli insetti impollinatori” percorso inserito nella progettazione di plesso “Un mondo fuori” che pone in dialogo lo spazio interno con quello esterno, entrambi “luoghi di cura e di relazione”.[2]

Si articola in alcune tappe:

  • RICERCARE – riflessione: fase di raccolta di informazioni e conoscenze attraverso testi e video scientifici adatti all’età e all’intervento prezioso della “Signora Primavera”, una mamma esperta naturalista.
  • RACCOGLIERE – continuità e relazione: sulla base delle nuove conoscenze acquisite è seguita la raccolta di elementi naturali e di riciclo in collaborazione con le famiglie.
  • COSTRUIRE – progett-azione: il materiale è stato utilizzato per la costruzione di un bug hotel, angolo raccolta acqua piovana, zona compostiera, bar delle farfalle e decorazioni varie.
  • ALLESTIRE – educazione alla meraviglia: i bambini/e hanno realizzato diverse decorazioni con materiale di riciclo per sperimentare la bellezza e la creatività di cui la Natura è maestra.
  • CURARE – atto di responsabilità: le sezioni si sono organizzate secondo turni per la cura.    del giardino: l’innaffiatura e il riempimento dei bar delle farfalle con la soluzione zuccherina.              

Una sinergia…  è sperimentata da qualche tempo nel nostro plesso mediante il “giardino scolastico”, un orto sinergico che sfrutta le naturali dinamiche d’interscambio tra microrganismi e piante, senza alcun intervento chimico. Ha trovato quindi immediata accoglienza la proposta di un’aiuola che ospiti piante e fiori, amici delle api.

La realizzazione ha attivato l’intuizione e l’operatività di bambini e bambine, li ha resi ancor più simpatizzanti verso la natura. Basta osservare i loro disegni, per notare quanto siano popolati di fiori, insetti, alberi, cieli e soli.

“Il giardino per gli insetti impollinatori” si è aggiunto come vero e proprio spazio educativo perché, come dice l’ecologista senegalese Baba Dioum: “Noi conserviamo quello che amiamo, amiamo quello che comprendiamo, comprendiamo quello che conosciamo”.            

Perché non fare una passeggiata e visitarli? Ecco i link dove è anche possibile esprimere una preferenza… cosa molto imbarazzante vista “la fantasia espressa”. Alcuni li suggerisco perchè di scuole “amiche”.

[1] Un’iniziativa che si propone di sensibilizzare i ragazzi e la cittadinanza alla tutela degli insetti impollinatori riconoscendo il loro fondamentale ruolo nella tutela della biodiversità e degli ecosistemi. Collaborano l’APAT e Legambiente Veneto.

[2] M. Guerra

API IN VOLO

Libri in viaggio – 2° tappa Italia

Solitamente le ”Api” sono utilizzate per il trasporto di materiali, o per il piccolo commercio ambulante di frutta e verdura, ed ora sono mezzo ricercato anche dai giovani.

La creatività, che non manca certo in Italia, da un po’ di tempo le carica di libri per portarli dove biblioteche e librerie senza ruote non possono arrivare. Le trasforma una Biblioteca itinerante, perchè raggiungano paesi lontani e zone periferiche, spesso trascurate e abbandonate a se stesse, a cercare le persone laddove vivono.

È una grande passione che guida Antonio La Cava, un maestro di lunga esperienza che non ha mai smesso di insegnare, nel 2003 a trasformare la sua Ape in Bibliomotocarro, la biblioteca itinerante per promuovere la lettura tra adulti e bambini. Insieme percorrono in lungo e in largo per tutta la Basilicata, e nel loro viaggiare superano anche i confini lucani, fino alla Puglia e alla Campania. La media di libri prestati (o regalati) alla settimana supera i 450 libri.

Vola a Concesio, senza pungere, l’Ape Randagia, un servizio della Biblioteca che porta i libri dvd e giochi per adulti e bambini, e offre anche originali attività nelle soste settimanali: letture, laboratori e giochi da tavolo all’aria aperta, esperienze di riciclo dei rifiuti.

Ronza a Porto Cesareo, nel Salento, l’Ape-Cultura, che porta la cultura in strada, lungo il mare, in ogni angolo del paese, un’iniziativa nata all’interno del progetto ApeCultura finanziata con i fondi Por Puglia.

Anche i librai si sono attivati, durante l’isolamento nel tempo di pandemia, per non far mancare libri in casa. E ancora una volta è un’ape a volare tra le vie di Sarzana, Liguria. È l’Ape Libraia che la libreria Bartlebook ha liberato per rispondere alle nuove esigenze. È piccola la pancia di Bartlebee, così è chiamata simpaticamente l’ape, ma i suoi scaffali contengono centinaia di volumi: libri per bambini, narrativa tascabile, illustrati, libri di cucina e sul territorio, guide turistiche. Ape Libraia, come entra in relazione con le persone, così fa rete con il territorio, organizzando incontri all’aria aperta, partecipando a eventi culturali e iniziative presso le scuole, per essere utilizzata pure come un mezzo di promozione. La “Street book philosophy” trae spunto dalla “moda” dello street food, e sostituisce il cibo di strada con i libri.

“E’ giunto il momento di muoverli, questi libri! Mica solo il cibo, per bacco!”,

è il pensiero di Bartlebee.

(segue)  

Articolo di Emanuela Marsura su Qualbuonvento 6 aprile 2023

Torna a Home


ARAZZI DEL CUBISMONERO

𝕃𝕒 𝕞𝕒𝕟𝕚𝕗𝕒𝕥𝕥𝕦𝕣𝕒 𝕕𝕚 𝕋𝕙𝕚è𝕤, 𝕊𝕖𝕟𝕖𝕘𝕒𝕝

Una bella mostra sulle politiche culturali di Leopold Senghor, presidente della repubblica senegalese dal 1960 al 1980, mi introduce alla produzioni della Manifattura di Thiès, centro per la produzione di arazzi voluta stesso dallo presidente.

Nel 1964, Papa Ibra Tall (1935-2015) apre all’interno della scuola d’arte di Dakar l’atelier di arazzo, che dirige per diversi anni. Molti artisti senegalesi sono mandati a formarsi in Francia negli ateliers delle manifatture Gobelins e in quelle di Beauvais, mentre dei tessitori francesi partono per il Senegal per formare gli alunni.

Il 4 dicembre 1966, qualche mese dopo il Festival mondiale delle arti negre, Leopold Sédar Senghor inaugura la manifattura nazionale durante una visita del presidente del Mali Modibo Keïta. Installata a 70 km da Dakar la manifattura ha per missione, come lo ricorda il presidente, di “creare un’arte nuova in una nuova nazione, sintesi delle tecniche importate dalla Francia e della cultura tradizionale“.

𝔸𝕣𝕒𝕫𝕫𝕚 𝕕𝕚 ℙ𝕒𝕡𝕒 𝕀𝕓𝕣𝕒 𝕋𝕒𝕝𝕝

Oggi le scelte culturali di Senghor, che tra l’altro espose a Dakar i grandi nomi della pittura contemporanea francese da Picasso a Soulages, sono messe in discussione dai giovani artisti senegalesi, perché tacciate di criptato colonialismo, di voler imporre modelli e categorie occidentali nel contesto senegalese, di favorire una rappresentazione del Senegal ad usum europeo.

𝕄𝕠𝕤𝕥𝕣𝕖 𝕠𝕣𝕘𝕒𝕟𝕚𝕫𝕫𝕒𝕥𝕖 𝕒 𝔻𝕒𝕜𝕒𝕣 𝕟𝕖𝕘𝕝𝕚 𝕒𝕟𝕟𝕚 ‘𝟟𝟘

Personalmente trovo la produzione di Thiès interessante, certo è evidente l’uso di categorie cubiste proprie degli anni ’60, ma anche molti paesi europei scelsero in quegli anni la stessa via di rappresentazione. Apprezzo i disegni di Papa Ibra Tall , ma anche i cartoni preparatori di Ibou Diouf (1953-2017), vice-direttore della manifattura, i cui disegni riprendono storie e racconti della tradizione locale.

ℂ𝕒𝕣𝕥𝕠𝕟𝕚 𝕡𝕣𝕖𝕡𝕒𝕣𝕒𝕥𝕠𝕣𝕚 𝕕𝕚 𝕀𝕓𝕠𝕦 𝔻𝕚𝕠𝕦𝕗

I grandi arazzi erano poi comprati dallo stato per decorare le amministrazioni e come regali diplomatici, ma oggi si trovano in vendita sul mercato dell’arte.

Trovo esposto un bell’arazzo in lana di Modou Niang (1943-), su cartone preparatorio di Boubacas Goudiaby:

su uno sfondo a forme geometriche di colore rosso, nero e rosa, si distacca un grande uccello blu dal becco lungo e appuntito, mentre in primo piano, posto di faccia, un uccello più piccolo dalle piume arancio.

𝔸𝕣𝕒𝕫𝕫𝕠 𝕕𝕚 𝕄𝕠𝕕𝕠𝕦 ℕ𝕚𝕒𝕟𝕘

Vai a Alberto Osenga – a Le scritture di Alberto Maria

Torna a Home

SALIRE L’OMBRA

Un giorno qualunque, uno dei tanti, che acquista però un valore unico se gli anteponiamo una data: 19 novembre 2020. Siamo ancora in era covid… ma quel giorno mi sono concessa di tornare nella natura.

Il bel sole e l’aria frizzante di ieri mi hanno guidato a fare una camminata in montagna, e dopo un’ora di marcia arrivata all’uscita dal bosco, il mio sguardo è stato catturato da un bellissimo albero.

Estasiata, mi sono avvicinata con un passo felpato, quasi a non disturbare, avevo la sensazione che lui riuscisse a sentire i miei battiti accelerati, l’ho sfiorato, e con un filo di voce gli ho chiesto se potevo abbracciarlo.

Quante emozioni, ho sentito il suo radicamento, la sua forza, la sua vitalità, e anche la sua pazienza, perché lui ama la lentezza.

Avrei voluto poter raggiungere le sue grandi braccia, lassù verso il cielo, ma questo era un pensiero egoistico, sarebbe stato violare la sua sacralità.

E lui, mi ha dato una possibilità, quella di potermi arrampicare sulla sua maestosa ombra.

Mi sono adagiata sul prato e sorretta da un ramo ho allargato le braccia, poi sono scesa mi sono girata verso di lui, e con lo sguardo l’ho ringraziato.

Un momento magico che racchiudeva tutte le persone a me vicine.

SusyTrev

Torna a SusyTrev – a La narrazione del quotidiano: il Diario – a Scrivo – a Home

IL RICORDO DELLA VISIONE

ℝ𝕒𝕞𝕠𝕟 𝕄𝕖𝕕𝕚𝕟𝕒 𝕊𝕚𝕝𝕧𝕒, 𝕕𝕦𝕣𝕒𝕟𝕥𝕖 𝕚𝕝 𝕡𝕖𝕝𝕝𝕖𝕘𝕣𝕚𝕟𝕒𝕘𝕘𝕚𝕠 𝕒 𝕎𝕚𝕣𝕚𝕜𝕦𝕥𝕒

Gli Huichols sono un popolo di artisti del Mesoamerica e scopro la loro produzione durante una breve visita al Quai Branly. Già avevo notato i loro riquadri ricamati altre volte, spesso infatti mi ero soffermato incuriosito davanti alla loro produzione piena di fili multicolori, ma solo questa volta riesco a fotografare i pezzi e a registrare il nome delle opere. Purtroppo le foto sono pessime (il riflesso sul vetro, l’illuminazione, le scritte luminose sfuocate…), ma arrivato a casa riesco a recuperare i nomi e a iniziare una ricerca online.

𝕌𝕟𝕠 𝕕𝕖𝕚 𝕡𝕣𝕚𝕞𝕚 ℕ𝕚𝕖𝕣𝕚𝕜𝕒 𝕕𝕚 ℝ𝕒𝕞𝕠𝕟 𝕄𝕖𝕕𝕚𝕟𝕒 𝕊𝕚𝕝𝕧𝕒, 𝕒𝕟𝕟𝕚 ‘𝟞𝟘


Sono i “Nierika” , il cui nome significa “oggetti per avere la visione”, detti in spagnolo “cuadros de estambre”. Oggetti fatti con fili di lana incollati con cera d’api…Al museo avevo capito che si trattasse di ricami, come i cuscinetti liturgici che servono a coprire i calici del Santissimo Sangue durante la messa (il nome liturgico è “palla” o “animetta”), invece il lavoro è semplicemente incollato.
I disegni incantano e abbagliano. Raccontano esperienze di visione e di stati di coscienza ottenuti dall’ingestione del peyotl, un fungo allucinogeno.
Le visioni sono per gli Huichols come una porta tra il mondo visibile e quello invisibile.I

l primo artista ad essersi cimentato con queste rappresentazioni è stato Ramon Medina Silva. Fin dai primi anni ’60 Ramon Medina Silva insieme a sua moglie Guadalupe de la Cruz Ríos (conosciuta come Lupe) iniziarono a produrre questo genere di lavori. Si erano trasferiti a Guadalajara, dove incontrarono il francescano Padre Ernesto che permise loro di iniziare a vendere artigianato tradizionale alle porte della Basilica di Zapopan dove aveva la missione di sacerdote.

𝕀 ℕ𝕚𝕖𝕣𝕚𝕜𝕒 𝕕𝕚 ℝ𝕒𝕞𝕠𝕟 𝕖 𝕃𝕦𝕡𝕖

In quegli anni Lupe e Ramon continuavano a partecipare ai pellegrinaggi di Wirikuta, in cui avviene l’ingestione rituale del peyotl.
Da ragazzo, Ramón era stato morso da un serpente corallo, che gli causò la paralisi alle gambe per diversi mesi e quasi lo uccise, ma venne guarito da suo nonno, importante sciamano che lo introdusse alla pratica dei pellegrinaggi a Wirikuta. Ottenne doni sciamanici fin dal suo primo pellegrinaggio, ma fu solo nel 1968 che giunse a completare il suo itinerario.
Un giorno del 1965 p. Ernesto propose loro di raffigurare le visioni dei pellegrinaggi e fu così che inizio l’arte dei Nierika.

Oggi molti altri artisti continuano questa tradizione, come Crescenzio Perez Robles, Guadalupe Borrojos, Lacacauma Maliniepeil, in cui le visioni sono più complesse ed elaborate rispetto a quelle di Ramon e Lupe, ma i cui colori brillanti della lana le rendono ancora più esperienziali.

ℝ𝕒𝕞𝕠𝕟 𝕚𝕟𝕥𝕣𝕖𝕔𝕔𝕚𝕒 𝕚𝕝 𝕗𝕚𝕝𝕠 𝕖 𝕃𝕦𝕡𝕖 𝕓𝕖𝕟𝕖𝕕𝕚𝕔𝕖 𝕝𝕒 𝕥𝕒𝕧𝕠𝕝𝕒

Vai a Alberto Osenga – a Le scritture di Alberto Maria

Torna a Home